sabato 20 febbraio 2016

Addio









Quel giorno doveva arrivare ed è giunto ieri. Da oggi il mondo, non solo quello accademico, non solo quello letterario, è un po’ più povero. Nella lettura di “numero zero” avevo notato una certa stanchezza, una vena di tristezza, quasi come se lo scrittore dicesse “sono stanco non ce la faccio ad andare oltre” e infatti avevo giudicato il libro più un racconto lungo che un romanzo breve. A Eco devo molto, fin da quando mi venne regalato “il nome della rosa” in occasione del mio diciassettesimo compleanno nell’ormai lontano 1984, rimasi folgorato dalla forza della scrittura, dalla capacità di fare lunghe descrizioni senza risultare mai noioso. Poi venne il pendolo e lì imparai veramente a distinguere il vero dal falso e a non farmi abbagliare solo da ciò che c’è in superficie. Le basi di ciò che sono adesso dal punto di vista intellettale le devo a lui, mi ha insegnato a pensare in modo libero e ad andare a fondo degli argomenti Penso che la summa di tutto il suo lavoro la si trovi ne “il cimitero di Praga” nel quale qualche fesso è persino riuscito a trovare un certo antisemitismo di fondo quando invece era un libro tutto incentrato sul come si crea un sentimento collettivo contro qualcuno o qualcosa, argomento assolutamente attuale. A queste persone, a coloro che in questi giorni staranno fuori dal coro e diranno di lui peste e corna per il fatto di essere fondamentalmente ateo e di aver criticato più volte un certo modo di fare politica e l’attrazione dell’italiano medio per l’uomo forte, ecco a loro dedico questa mirabile pagina del Pendolo.

…Quella volta Belbo aveva perso il controllo. Almeno, come poteva perdere il controllo lui. Aveva atteso che Agliè fosse uscito e aveva detto tra i denti: “Ma gavte la nata.” Lorenza, che stava ancora facendo gesti complici di allegrezza, gli aveva chiesto che cosa volesse dire. “È torinese. Significa levati il tappo, ovvero, se preferisci, voglia ella levarsi il tappo. In presenza di persona altezzosa e impettita, la si suppone enfiata dalla propria immodestia, e parimenti si suppone che tale smodata autoconsiderazione tenga in vita il corpo dilatato solo in virtù di un tappo che, infilato nello sfintere, impedisca che tutta quella aerostatica dignità si dissolva, talché, invitando il soggetto a togliersi esso turacciolo, lo si condanna a perseguire il proprio irreversibile afflosciamento, non di rado accompagnato da sibilo acutissimo e riduzione del superstite involucro esterno a povera cosa, scarna immagine ed esangue fantasma della prisca maestà.”…

Grazie di tutto Umberto

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